Giovedì, 7 Maggio 2020 | Scritto da: didattica

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“IL PASSATO E IL FUTURO DELL’IMMORTALITA’ - 1° incontro

VIDEOCONFERENZA AL TEMPO DEL COVID CON ALBERTO BANAUDI E FRANCO MATTARELLA

Titolo impegnativo per la nuova videoconferenza “Il passato e il futuro dell’ immortalità - 1°” con Alberto Banaudi e Franco Mattarella. L’iniziativa è stata organizzata dal Polo Cittattiva l’Astigiano e l’Albese – I.C. di S. Damiano, Castello di Cisterna, Israt, Associazione “Franco Casetta”, Fra production spa, Cantine Povero distr. srl e Aimc di Asti. Come ha spiegato Mattarella in apertura, l’incontro prende spunto dalle ricerche scientifiche nella Silicon Valley dove i migliori biologi molecolari stanno lavorando all’ estensione infinita della vita. L’idea di base, per il magnate Dimitry Itskov, è che con il denaro sia possibile anche raggiungere l’immortalità. Il primo passo, attraverso l’assunzione di una dieta chetogenica (ad altro contenuto di grassi) e di integratori nootropici, è quello di rallentare l’invecchiamento. Quest’ultimo, secondo gli studi, è il risultato dell’accumulo di scorie ed errori del metabolismo (dovute anche a una dieta ricca di carboidrati) che il nostro organismo non è in grado di eliminare e correggere. Nel frattempo, si attendono i risultati delle ricerche volte a produrre variazioni strutturali nel Dna. Gli effetti di questi studi saranno già disponibili intorno al 2035 quando un sessantenne potrà avere il corpo di un trentenne.

Nel 2003, per accelerare queste ricerche, è stato istituito il Methuselah Mouse Prize (Premio Matusalemme), del valore di 4 milioni di dollari, da assegnare al biologo capace di aumentare la lunghezza della vita di un topo (topo Matusalemme). Ovviamente, potranno usufruire dei risultati di questi studi solo persone con alte fasce di reddito. Per questo motivo, occorre riflettere su una prospettiva che promette di prolungare all’infinito la vita solo dei ricchi. Il tema dell’immortalità, comunque, era caro anche agli antichi. Di questo aspetto si è occupato il prof. Banaudi. Gli uomini del passato avevano trovato nei miti una risposta alle loro domande. Oggi, essendo tramontati tutti i grandi valori, si allunga la vita per accumulare all’infinito esperienze. Si vive quella che, secondo qualche filosofo, è la nuda vita, fine a se stessa, basata sull’avere e non sull’essere. Secondo Heminway, al contrario, se non c’è un motivo per morire la vita non ha senso. La nuova filosofia o, per meglio dire, religione è il transumanesimo che promette una salvezza fisica e non metaforica. Secondo questa visione, ci si deve liberare dai miti ritenuti ormai inutili poiché in futuro l’uomo non dovrà più confrontarsi con la morte.

La visione del mondo antico, nonostante la sua durezza, era opposta rispetto a quella attuale che è priva di limiti, quello del dolore ma anche l’ultimo, la morte che deve rimanere sconosciuta ai bambini. Nel racconto “L’immortale”, tratto da “L’Aleph”, Borges aveva già previsto l’inquietudine che attanaglia i nostri giorni. Si racconta di un mondo in cui non si muore più perché gli abitanti hanno bevuto l’acqua della fiume dell’ immortalità. Quest’ultima, però, non ha migliorato l’esistenza ma ha reso tutti insensibili e afasici. Si vive nella scandalosa città degli immortali e, “… finchè durerà, nessuno al mondo potrà essere prode o felice”. Qualcuno, però, riusce a trovare un altro fiume la cui acqua è in grado di mettere fine a esistenze eterne ma prive di senso.

Nel “Poema di Gilgamesh”, scritto agli albori della storia, il protagonista sperimenta il dolore attraverso la morte dell’amico Enkidu e la sua disperazione si trasforma in protesta. Vuole trovare il modo per riportare in vita il giovane. Non si rivolge, però, alla scienza ma alla saggezza dell’unico uomo immortale: Utanapištim. Quest’ultimo cerca di convincere Gilgamesh che la morte è naturale. Passando attraverso diverse prove, l’eroe comprende il senso della vita: “… L’umanità è recisa come canne in un canneto… Eppure nessuno vede la morte…(il tutto assomiglia alle) libellule che sorvolano il fiume il loro sguardo si rivolge al sole, e subito non c’è più nulla…”.

Per Omero, gli uomini erano chiamati mortali o effimeri. Diverse erano le strategie dei Greci per superare la morte: le tombe monumentali, le religioni, la gloria, la scrittura… erano strumenti per superare la fine eterna. Platone, invece, considera l’amore come desiderio di procreare nella bellezza che consente di superare la morte. Definisce così una scala della generatività nella bellezza che, partendo dal basso, vede: la discendenza, la bellezza artistica, il dialogo, una città giusta, il sapere e, per finire, la filosofia che consente il contatto tra umano e divino. Invece, per l’uomo è fatale il tentativo di raggiungere l’immortalità fisica. Ne sono testimonianza i miti di Sisifo, Tantalo, Prometeo che, per aver voluto superare il limite imposto dalla natura, sono condannati a supplizi eterni. Attraverso il mito di Prometeo, ad esempio, si spiega che la scienza e la tecnica sono ottimi strumenti ma non devono essere mai il fine e, soprattutto, devono essere utilizzate con la consapevolezza del limite.

Il desiderio dell’immortalità è profondamente umano e i greci lo avevano capito benissimo. Per questo hanno riflettuto riuscendo a trovare il fascino anche nella mortalità” ha detto Banaudi. Infatti, l’uomo mortale è capace di amore, compassione e ne è testimonianza Ulisse che, alla vita infinita, preferisce il ritorno ad Itaca per poter riabbracciare i propri cari. Il teatro greco era un’ altra forma per superare, tramite le rappresentazioni, la morte. Quello di Epidauro, ad esempio, era collegato al Santuario di Asclepio, dio della medicina. Era un luogo dove si ottenevano guarigioni miracolose sia del corpo che dell’anima.

Gli antichi avevano capito che il senso della vita è connesso con quello della morte e, proprio per questo, è inutile un’esistenza infinita ma priva di umanità.

Giovanna Cravanzola

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