Mercoledì, 11 Novembre 2020 | Scritto da: didattica

La didattica a distanza è una delle emergenze che si sono presentate a causa della pandemia e di cui, probabilmente, non si potrà fare a meno nell’immediato. Come si possono contrastare gli effetti negativi e valorizzarne le opportunità? Quali azioni e soggetti coinvolgere e come? La prof.ssa Chiara Saraceno e la dott. Nicoletta Fasano ne hanno discusso sabato 28 novembre 2020 nella videoconferenza “Fronteggiare i rischi della didattica a distanza. Un’alleanza entro la comunità educativa”. L’iniziativa è stata organizzata dal Polo cittattiva astigiano albese – I.C. di S. Damiano e Museo Arti e Mestieri di un Tempo di Cisterna con Israt, Fra production spa e Aimc di Asti. Inoltre, l’iniziativa è inserita all’interno del “Progetto didattico Blu (Blended Learning Union)” del quale l’Istituto Monti di Asti è capofila. La Fasano ha introdotto l’incontro riflettendo su come la pandemia abbia peggiorato le situazioni di disagio ma ci ha anche di comprendere quanto la scuola determini la nostra vita e scandisca le nostre giornate. Eppure, proprio all’inizio del 2020, ci è sembrato, da un lato, che se ne potesse fare a meno e, dall’altro lato, ha permesso di comprenderne la centralità all’interno della comunità. Ci si è accorti, infatti, dell’importanza di costruire reti di protezione tra scuole, territorio, comunità in generale e, quasi sempre, tutto ciò è avvenuto partendo dal basso, attraverso iniziative spontanee di associazioni e volontari. Di certo – ha sottolineato la prof. Saraceno, troppe sono le incongruenze: i negozi riaperti e le scuole chiuse, leggi che stabiliscono l’illegittimità di lasciare un ragazzo delle scuole medie solo a casa e, parallelamente, DPCM che stabiliscono la didattica a distanza che, per giunta, prevede un orario amputato rispetto a quella in presenza. “Tutto ciò è irresponsabile, è un disastro educativo… c’è sempre un ‘dopo’ in cui si deciderà quando, invece, i giovani dovrebbero essere messi al primo posto. Purtroppo, il disastro è maggiore per chi vive in condizioni disagiate non solo per la connessione e gli strumenti ma anche per la mancanza di competenze. Sarebbe bello se, fuori dalla dad, gli adulti utilizzassero questa esperienza per imparare con gli studenti le possibilità del digitale sollecitando nuove competenze e non lasciando tutto all’iniziativa di un singolo insegnante. Per ‘patto educativo territoriale’ si intende una messa in rete collaborativa delle risorse educative di prossimità, molto spesso già attive. La scommessa è far uscire tutti i soggetti dall’isolamento mettendoli in comunicazione. Una scuola aperta al territorio significa che si rende disponibile nei confronti delle possibilità educative dei soggetti presenti ma anche progettare insieme il percorso educativo attraverso risorse, capacità e punti di vista diversi. In Italia, numerose sono queste esperienze che si sono sviluppate, ad esempio, a Napoli. Io, ad esempio, faccio parte della Rete italiana di cultura popolare. Le comunità locali, anche quelle deprivate, possono costituire una risorsa e non solo un problema. Queste alleanze, però, non devono essere solo orizzontali ma anche trasversali con le istituzioni. Gli insegnanti non devono avere paura di essere deligittimati anche se collaborare non è sempre facile. Con questa modalità si evita anche di segregare coloro sui quali si interviene perché l’intero gruppo avrà dei vantaggi”. Purtroppo, ha sottolineato la Fasano, i vari Dpcm ci hanno impigrito e, sovente, reso ancora più difficoltosi i rapporti tra i cittadini e il terzo settore. In realtà, ha ribattuto la Saraceno, laddove i patti di collaborazione erano più strutturati si è retto meglio alla crisi. Sono state proprio le associazioni ad accorgersi della dispersione scolastica dovuta alla pandemia e ad informare il Ministero dell’Istruzione. Molti ragazzi sono stati riportati a scuola proprio dalle associazioni che hanno lavorato anche sulla loro autostima. Non si può andare avanti solo colpi di decreto. La scuola, da sola, non riesce a sopperire a tutte le richieste e, quando accade, è grazie a famiglie attente e collaborative. In ogni caso, se la didattica a distanza non è totalizzante, può arricchire. Ciò accade quando non si limita all’utilizzo passivo della tecnologia ma coinvolge i ragazzi assegnando consegne e rendendoli attivi.

Di certo, alla base di una società democratica c’è sempre la scuola.

Giovanna Cravanzola

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