Mercoledì, 11 Novembre 2020 | Scritto da: didattica


COMUNITA’

MARCO AIME HA DISCUSSO DEL SUO LIBRO CON RENATO GRIMALDI

IN VIDEOCONFERENZA PER IL POLO CITTATTIVA

Mai come in questo momento ce n’è bisogno e, per molti versi, se ne sente la mancanza. Non avevamo compreso a fondo di ciò che significava nella vita di ciascuno di noi. Ne ha parlato, nel 2019, Marco Aime che ha presentato il suo libro “Comunità” (Il Mulino) sabato 21 novembre 2020 in una videoconferenza organizzata dal Polo cittattiva astigiano albese – I.C. di S. Damiano d’Asti e Museo Arti e Mestieri di un Tempo con Fra production spa, Israt e Aimc di Asti. Attraverso un percorso collegato alle immagini di ex voto, l’autore ha dialogato con Renato Grimaldi del suo libro perché queste forme di devozione rappresentano anche ciò di cui erano fatte le comunità un tempo: dono, solidarietà, partecipazione… Le piccole comunità locali, ha detto Grimaldi, sono quelle che governano gran parte del territorio anche se, dal secondo dopoguerra, molte cose sono cambiate. L’aumento della popolazione, ha sottolineato Aime, ha reso esili i legami partecipativi e la vicinanza, diventati fragili e frammentati. Il nostro stesso modo di muoverci ci fa vivere in maniera diversa territorio e incontri. L’utilizzo dei mezzi di trasporto, ad esempio, impedisce di incrociare gli sguardi di chi è per la strada. Il senso di appartenenza ad un gruppo diventa più complicato e ravvivato solo da incontri necessari. “Il dono, secondo Marcel Mauss, è alla base della costruzione dei legami sociali e ci fa scoprire che è molto presente nelle nostre vite perché doniamo e contraccambiamo. Si apre un canale che si chiude se l’altro risponde. Il dono crea debito/credito che tiene aperte le relazioni tra individui ed è differente dalle transazioni commerciali. Investire in un dono è la promessa che ci rivedremo ed è per questo che doniamo di più di quel che crediamo” ha detto Aime. Nonostante questo, nella comunità sono presenti anche i conflitti che, però, apportano cambiamento, ossigeno e nutronimento. Essere comunità significa vivere con maggiore sicurezza i momenti di difficoltà ed è pure spazio e memoria condivisa. Per questo, anche se la rete le chiama community, i gruppi virtuali non ne hanno le caratteristiche perché possono essere ovunque, in nessun posto e non necessitano di toponimi. Ciò che è certo è che, anche se comunità e identità fanno pensare al singolare, sono plurali, porose, molte per ciascuno di noi e non sono mai state chiuse. La pandemia ha messo in luce la fragilità del nostro intero sistema sociale. In soli due mesi non è stato in grado di reggere l’urto per l’incapacità di previsione. Però il virus, nei primi mesi, ci ha fatto capire che siamo una sola grande comunità anche se, subito dopo, ci si è trovati di nuovo divisi. Invece, bisognerebbe pensare in modo comunitario perché solo così se ne potrà uscire altrimenti sarà il virus ad avere la meglio.

Giovanna Cravanzola

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