Lunedì, 18 Ottobre 2010 | Scritto da: didattica

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A prima vista il titolo del convegno filosofico tenutosi il 16 e il 17 ottobre nelle sale del castello cisternese, patrocinato dalla Rete Museale Roero Monferrato, dall’AIMC e dal gruppo culturale Oron Oronta, potrebbe apparire ad alcuni una contraddizione, ad altri un’impresa titanica.

I relatori che si sono avvicendati hanno offerto molteplici possibilità di riflessione e di rilettura dell’emozione, aspetto imprescindibile e vitale nell’esistenza di ciascuno. Secondo Giancarlo Tonani esiste un mito di una caverna emotiva primordiale che è necessario recuperare; le scene di caccia rappresentate nelle pitture rupestri vengono, a ragione, considerate oggetti d’arte e ad uno sguardo più attento si nota che l’animale è rivestito di una dignità intatta, a differenza dell’umanità indaffarata, alla stregua di una divinità; mentre l’uomo compare raramente. Il pensare è un fatto miracoloso, un atto ugualmente creativo quanto la pittura; sul fondo della caverna metaforica si annida una sapienza che da sola non serve a niente; ma il gesto primordiale di chi intinge la mano in qualche pigmento e la stampa sulla roccia costituisce l’unico riparo da una dilagante, sterile e fredda insensatezza.

Marcello Furiani ha portato la poesia di Paul Celan come esempio di narrazione dell’indicibile. Celan fu segregato nel ghetto moldavo durante l’occupazione tedesca, ma riuscì a riparare in un luogo sicuro e a salvarsi, a differenza dei genitori. Non entrò mai in un campo di stermino come prigioniero, ma i suoi versi si possono interpretare come un grande requiem degli ebrei deportati; incarna il loro dolore facendo sua la loro voce muta, evoca l’orrore dell’indicibile. Adorno sosterrà che i suoi versi narrano il silenzio dell’orrore. Cercò di elaborare il dolore, che rischiava di trasformarsi in smarrimento, attraverso, prima la scrittura e poi la poesia, c’è quindi una drammatica cesura tra il dire poetico e l’indicibilità dell’olocausto. Solo ricorrendo alla lingua materna è possibile appropriarsi della verità; la lingua materna è una sorta di seconda pelle non la si può tradire né tradurre, è quel luogo intimo in cui non possiamo non identificarci. Celan scrive in tedesco, la lingua del nazismo e allo stesso tempo, la lingua materna, un paese delle fontane, ormai perduto, rimane l’esilio nel cuore stesso delle parole. Ha attraversato la terra della poesia cercando di trasformare la poesia in realtà e non viceversa e soprattutto rischiando l’afasia.

Franco Mattarella per esporre la sua tesi ha esordito citando il testo di Antonio Damasio “L’errore di Cartesio”, nel quale è contenuto, tra gli altri, il caso clinico di un trentenne americano, Elliott, che non riusciva più a lavorare in quanto, dopo un delicato intervento chirurgico nell’area celebrale, non provava più alcuna emozione e non riusciva a portare a compimento alcuna mansione. L’emozione è generata dal corpo fisico, mentre il sentimento dalla mente, sono un continuum, ma ci dev’essere quest’impatto sul nostro corpo. Mattarella ha poi proseguito il suo intervento con un esperimento: ha recitato, accompagnato dalla moglie, ricreando l’atmosfera che si respira in un teatro, il dialogo pavesiano “L’isola”, tratto dai “Dialoghi con Leucò”. Odisseo e Calipso, sull’isola di Ogigia si confrontano e dimostrano atteggiamenti profondamente distanti. Entrambi hanno patito e veduto molto nel corso della loro esistenza, forse tutti e due sono stanchi di un grosso destino; ma mentre per Calipso immortale è chi accetta l’istante, Odisseo crede immortale chi non teme la morte. La dea esprime passività, proprio ciò che Ulisse rifiuta, vuole, infatti, emozionarsi di istante in istante. L’arrivo di Odisseo sull’isola ha cambiato la percezione di Calipso, Ulisse ha portato un’isola in sé provocando un risveglio in lei, tanto da dichiarare che teme il risveglio quanto lui la morte. In fondo, entrambi, serbano nel cuore ciò che cercano.

Gianni Cavallero ha introdotto la figura e l’opera di Eugenio Borgna, che malauguratamente, per un leggero malessere, non ha potuto presentare di persona il suo ultimo libro “Le emozioni ferite”, edito da Feltrinelli. Primario Emerito di psichiatria nell’Ospedale Maggiore di Novara ha diretto il padiglione femminile nella suddetta struttura. Borgna dimostra, nei suoi scritti, non solo una piena padronanza dei testi filosofici di Jaspers e Heidegger, ma parimenti della parola poetica, soprattutto di Hölderin, che cita spesso, ad esempio quando sostiene che noi siamo colloquio. Secondo il poeta l’uomo è tale grazie alla parola e proprio la parola è utilizzata dallo psichiatra per curare le sue pazienti. L’emozionalità ha una importanza assoluta, ogni aspetto della vita è permeato dall’emozione, che per Borgna corrisponde alla parola dell’anima. La gioia ricopre un ruolo privilegiato in quest’’ambito, è la più immediata e può essere paragonata ad un battere d’ali. Diversa dalla felicità, la gioia indica il presente, non c’è un passato che proietta, è la constatazione di essere vivi. Viene citato Freud, in particolare il saggio “Caducità” nel quale si narra l’aneddoto di una passeggiata di Freud sulle Dolomiti in compagnia di un amico poeta (Borgna suppone sia Reiner Maria Rilke) durante la quale quest’ultimo si lamenta del fatto che ogni cosa sfiorisca, Freud lo esorta a ritenere che la bellezza dev’essere colta in un istante che ha la valenza dell’eternità.

Alberto Banaudi ha affrontato la tematica “PEN – SIERO. Bivialità e trivialità interiori” ed ha esordito motivando questo titolo come soggetto a molteplici interpretazioni e contenente un termine, bivialità, che forse non esiste, ma che ciò nonostante è fortemente pregnante. Le emozioni sono allarmi del nostro organismo rispetto a situazioni vitali; connotano sostanzialmente l’uomo e sono considerate fin dall’antichità una prerogativa specificamente umana, se ne può trovare testimonianza già nell’Epopea di Gilgamesh. Nei poemi omerici gli uomini sono costituiti da emozioni, tanto che spesso viene utilizzata l’espressione pensava in cuor suo, pensiero ed emozione sono costitutivi, ma l’emozione va calibrata. In tal senso è emblematico il gesto di Atena che trattiene Achille per i capelli mentre, sguainata la spada, vuole vendicarsi di Agamennone per un torto subito, lo esorta a dominare se stesso, avrà vendetta in un altro momento.

Sulle lamine orfiche, apposte sulle tombe degli iniziati, è raffigurato il cammino che il morto intraprende dopo la vita e in questo viaggio, si trova di fronte ad un bivio: un sentiero conduce alla fontana di Lete (l’oblio), l’altro alla fontana di Memnosine (la memoria); nello scegliere il primo si dimentica e ci si reincarna, nello scegliere il secondo si ricorda e. probabilmente, non avverrà reincarnazione. Per Banaudi queste lamine indicano il momento a partire dal quale gli uomini hanno cominciato a pensare non più con il cuore, quindi si assiste, utilizzando un gioco di parole, all’insorgere del pensare con il pensiero: quella orfica è una rivoluzione antropologica di cui per Banaudi sarebbe scomparsa ogni traccia.

La riflessione del mondo moderno sull’emozione ruota intorno ad una scissione tra l’aspetto emotivo e quello razionale, ma c’è un legame che non può essere sciolto; sono due polarità che si respingono solo nella malattia. Il nostro io si è fratturato e sono fratture scomposte; per Banaudi la maturazione consiste nel trovare un’integrazione tra emozioni e ragione; le emozioni contengono valutazioni cognitive, occorre cogliere i valori che si celano dentro di esse: una società nutrita di certi valori farà scaturire certe emozioni. Il Pen – Siero è fluido, è un moto carsico e il tentativo di guarigione che richiede è infinito. Le emozioni sono impronte della nostra condizione; segni indelebili che distinguono la nostra esistenza. Noi siamo carne emotiva attraversata da una luce, quella del Logos, che cerca di illuminare le emozioni ed è al servizio delle emozioni quanto esse al servizio del Logos. Se non ci fosse il Logos non riusciremmo a capire l’amore.

Il convegno si è concluso con un gioviale pranzo filosofico, in fondo l’emozione può essere suggellata anche dai piaceri della tavola, ciascuno dei partecipanti porterà un’impronta personale di quest’esperienza, elaborerà riflessioni intime che sanciranno una scelta nei confronti dell’emozione, quella di Calipso o quella, molto più vitale ed umana, di Odisseo.

Elena Cerruti

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