Martedì, 22 Febbraio 2022 | Scritto da: didattica


DALLA MALA ORA ALLA BUONA ORA. L’ANTROPOLOGIA DELLE LANGHE IN FENOGLIO”

Beppe Fenoglio, tante cose già dette ma anche tante altre cose da dire. Proprio per questo, in occasione delle Celebrazioni del Centenario Fenogliano, sabato 12 marzo 2022, ore 16 al Castello di Cisterna d’Asti si è tenuto un incontro particolare “Dalla mala ora alla buona ora. L’antropologia delle Langhe in Fenoglio”. Ne hanno discusso Piercarlo Grimaldi ed Edoardo Borra. L’iniziativa è stata promossa da Polo Cittattiva per l’ Astigiano e l’ Albese – I.C di S. Damiano, Museo di Cisterna, Israt, Casa della Resistenza e della Deportazione di Vinchio, Associazione “Franco Casetta” con Fra production spa, Libreria “Il Pellicano” e Aimc di Asti.

Nell’ introdurre l’incontro, Edoardo Borra ha definito il suo un “ritorno fenogliano recidivo”. Infatti, negli scorsi anni, ha partecipato attivamente all’organizzazione di diverse iniziative dedicate all’autore tra le quali un incontro per celebrare il suo novantesimo compleanno in collaborazione con il Centro Studi Fenogliani e la Fondazione Ferrero di Alba.

Un titolo particolare quello di sabato per parlare di Fenoglio in ottica antropologica. Come ha sottolineato Borra, si tratta di un autore, a noi contemporaneo, scomparso troppo prematuramente. Vi ritroviamo la fatica e l’esaltazione nel suo scrivere e molto altro avrebbe potuto ancora produrre. Molti esperti hanno analizzato la sua opera da diversi punti di vista ma, considerandolo a livello antropologico, potrebbe essere considerato come un’isola. “Il viaggio che ho intrapreso nell’isola Beppe Fenoglio l’ho fatto stando fermo ad Asti dopo essere partito da Cossano che si trova all’incrocio tra la cultura pavesiana, fenogliana ma anche montiana. Aver vissuto in questo cuore è stato importantissimo anche se per molti è apparso come un impedimento l’essermi occupato dello studio del territorio locale anziché un arricchimento perché io adoro scrivere di Langa. Oggi cerco di recuperare con la memoria frammenti che avevo perso. Capire che si hanno dentro cose che non ti aspetti da portare alla luce fa bene al cuore”. Due autori, due modi diversi di narrare un territorio. In alcune opere di Pavese la Resistenza fa da sfondo mentre in Fenoglio è epica. Profondamente legato alla sua terra, fu spesso invitato a lasciare baracca e burattini per tentare la fortuna come scrittore lontano da Alba ma non lo fece mai. Amava definirsi uno splendido isolato, non cercava di fare carriera ma, in realtà, continuò a spostarsi con la mente. Non solo, i suoi scritti oggi sono un fatto culturale aggredibile da tutti. Tramite le sue pagine è possibile conoscere vita e modi di fare del passato non solo spiegandoli ma facendo immergere il lettore nei personaggi e nei luoghi anche dal punto di vista psicologico. Proprio per questo è letto e compreso in contesti anche molto lontani.

Se penso alla mia prima gioventù, a farla da padrone è stata più la parte dell’oralità che della scrittura. Di “Agostino”, anche se ambientato intorno al 1910, ne ho visti tanti anche nel dopoguerra e alcuni dei personaggi raccontati da Fenoglio io li ho conosciuti davvero. Questo mondo si è stiracchiato fino verso di noi e, fino a poco tempo fa, era ancora possibile trovare qualche “grande anziano” capace di narrare quel mondo – che era anche quello dei loro padri e nonni – attraverso la parola e il gesto. Sono bastati pochi anni a cancellare tutto questo. Pochi ottantenni di oggi sono ancora in grado di farlo. Il gesto e la parola sono stati in grado, per centinaia di anni, di trasmettere il sapere senza bisogno della scrittura. È un modello antico ormai interrotto. Quando nei testi sacri era scritto “mille e non più mille” forse si pensava proprio a questo. Il lutto dell’uomo di oggi va anche in questo senso. Fenoglio è importante anche per questo perché, antropologicamente, è un’acqua fresca di queste tradizioni che non sappiamo più raccontare. Nessuno narra il mondo contadino così con meno mitologia e più racconto. Grazie a questa letteratura, possediamo un immenso archivio che sostituisce la narrazione orale. Tutto ciò mi fa capire che quello che è rimasto della memoria è frutto del passato. Infatti, quando mancherà la tradizione sarà un fallimento la mancanza di un pensiero mitico. Fenoglio è straordinario per questo perché fa capire l’Alta Langa, quella povera, della fatica e che, proprio per questo, ha preservato il suo paesaggio e ha continuato a coltivare le tradizioni. Oggi la Mala Ora è usata per costruire la coscienza della Buona Ora e questo è molto bello purché non diventi un mero specchietto per le allodole costruito unicamente ad uso e consumo dei turisti attirati a vedere un mondo indigeno che, nella realtà, non esiste più”.

Grazie ai grandi scrittori, ritroviamo tradizioni scomparse nella narrazione orale. Per me il mito è una costruzione che qualcuno mi deve ricostruire. Ho bisogno di un mediatore per tramandarla. Vista la situazione, forse oggi conviene concentrarsi su questa mediazione e sulla capacità di legge-re il mito. Fenoglio e Pavese, così diversi tra di loro, possono essere i primi grandi mediatori e noi dobbiamo abituarci a leggerli così. Fenoglio soprattutto si pone in modo aperto rispetto alla nostra società contemporanea e, per differenziarlo da Pavese,si dice che si è preso una Langa tutta per sé” ha proseguito Borra.

Da un lato tutto questo mi rincuora – ha concluso Grimaldi – ma, dall’altro, sono pessimista. Se la narrazione si interrompe non so come e se ritornerà. In ogni caso leggere Fenoglio fa bene all’anima. Nella città, forse, non conosci neppure te stesso, massimizzi i profitti ma, chi vuol ritrovarsi, va a vivere nei luoghi di natura, nelle piccole comunità… Sono questi i posti dove si può sopravvivere a qualche giro di stagione (“facendoti terra e paese” come ha scritto Pavese) perché, finché qualcuno si ricorderà di me, anche senza l’eternità, io potrò sopravvivere ancora per qualche tempo”.

Giovanna Cravanzola

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